Il Tartufo

Il tartufo nella storia

In generale la parola  tartufo richiama alla mente un prelibato  tubero carnoso, dall’odore penetrante, persistente e pungente e dal gusto particolare.

In realtà, scientificamente, il tartufo non è un tubero!

In botanica, per “tubero”, dal lat. tuber ; propr. “tumore, escrescenza”,  l’origine etimologica di questa parola risale sec. XIV,  s’intende il fusto sotterraneo ingrossato di una pianta con funzione di riserva e riproduttiva (patate, barbabietole, topinambur ecc.)

Sotto il profilo scientifico, i tartufi sono gli organi (sporofori o ascomi complessi) all’interno dei quali sono prodotte le spore sessuali di molti funghi ipogei. 

Un tartufo è il corpo fruttifero di un fungo Ascomycota sotterraneo. La maggior parte dei tartufi appartiene al genere Tuber Micheli e Wigger, ma esistono anche altri generi di funghi appartenenti a questa categoria fra cui GeoporaPezizaChoiromycesLeucangium e oltre un centinaio di altri.

I tartufi appartengono alla classe Pezizomycetes e, tolte alcune eccezioni, all’ordine Pezizales. Sotto la denominazione di tartufo vengono ricomprese comunemente anche le terfezie, genere della famiglia Terfeziaceae, detti anche tartufi del deserto. Sono endemici di aree desertiche e semi-desertiche dei paesi che si affacciano sul Mediterraneo, dove sono molto apprezzati.

In botanica, per “tubero”, dal lat. tuber ; propr. “tumore, escrescenza”,  l’origine etimologica di questa parola risale sec. XIV,  s’intende il fusto sotterraneo ingrossato di una pianta con funzione di riserva e riproduttiva (patate, barbabietole, topinambur ecc.)

I tartufi sono funghi micorrizici, pertanto vivono in simbiosi micorrizia con specie vegetali arboree e arbustive. Talune specie di tartufo costituiscono un’essenza alimentare estremamente pregiata, ricercata e costosa; altre specie sono invece considerate di poco pregio o, talvolta, perfino lievemente tossiche. La dispersione delle spore dei tartufi avviene grazie alla piena maturazione e decomposizione degli ascocarpi o ascomi nel terreno, e tramite ai micofagi, quegli animali selvatici, insetti e mammiferi, che si nutrono di funghi e ne disperdono le spore. 

In ogni caso i tartufi emanano un tipico profumo penetrante e persistente che si sviluppa solo a maturazione avvenuta e che ha lo scopo di attirare gli animali selvatici, nonostante la copertura di terra, per spargere le spore contenute e perpetuare la specie.

L’esistenza del tartufo risale ad un’epoca antecedente alla presenza dell’Homo sapiens. Probabilmente esso esisteva già 280 mila anni fa, come viene testimoniato da alcuni fossili ritrovati per primi in Piemonte e più recentemente nelle Marche. Le prime testimonianze scritte risalgono però ai Babilonesi e agli Egizi. Si narra del faraone Chope, 2600 a.C. che pretendesse decine di chili di Tartufi cucinati con il grasso d’oca per i suoi faraonici banchetti.

Un’ipotesi non accreditata parla della presenza del tartufo nella dieta di Sumeri ed Ebrei, intorno al 1700-1500 a.C.

Tra gli antichi medici e naturalisti che scrissero sui tartufi, senza però individuarne la vera natura, dopo Dioscoride troviamo Claudio Galeno (III secolo d.C.), ammiratore entusiasta di Ippocrate nonché letterato raffinato, il quale affermava che il tartufo non era soltanto un alimento molto nutriente ma predisponeva ai “piaceri carnali”. Per quest’ ultima tanto decantata proprietà, i romani posero il tartufo sotto la protezione di Venere, dea della bellezza, ossia Afrodite, dea greca dell’amore e della bellezza.

In effetti, riguardo a quest’ultimo aspetto, Galeno aveva precorso i tempi!
E’ stato, infatti, dimostrato, con ricerche, effettuate a cavallo del 3° millennio presso l’Università di Monaco e Lubecca (Germania) (Grosser et al., 2000) e Birmingham (Inghilterra) (Jacob & Mc Clintok, 2000), che,  tra le sostanze volatili che conferiscono il profumo al tartufo, fa parte un alcool dell’odore di “musco” che si forma a partire da un’altra molecola molto simile al testosterone, che, captata da una particolare area della mucosa olfattiva, che risiede nella zona veomer-nasale della base cranica, attiverebbe il sistema limbico nel cervello interagendo con le sue funzioni.

Il tartufo in Campania, in Italia e nel Mondo

La legge nazionale 16 dicembre 1985, n. 752, “Normativa quadro in materia di raccolta, coltivazione e commercio dei tartufi freschi o conservati destinati al consumo”, fu emanata in seguito all’incremento della raccolta e al diffondersi di pratiche non eco-compatibili, ha inteso regolare per la prima volta in Italia la raccolta dei tartufi.
Tale norma quadro, in particolare, ha demandato alle Regioni la potestà di regolare la raccolta sui propri territorio, stabilendo, nel contempo, alcune regole comuni a livello nazionale.

Successivamente al varo delle normative regionali, è andata crescendo la consapevolezza di dover aggiornare la 752/85, sia per la nuova ripartizione delle competenze tra lo Stato e le Regioni in materia agricola e di tutela dell’ecosistema, operata con la riforma del titolo V della parte seconda della Costituzione, sia dal punto di vista fiscale. Tale necessità di aggiornamento della norma è stato determinato anche dalla crescita di un settore che annovera circa 200.000 raccoglitori ufficiali di tartufi, dei quali il 5 per cento proviene dal mondo agricolo, il 20 per cento svolge attività di ricerca individualmente e il restante 75 per cento appartiene alle più svariate categorie economiche.

Pertanto, in tutte le legislature che si sono succedute a partire dagli anni ’90, sono state presentate numerose proposte di legge parlamentare con l’intento di completare e perfezionare la norma quadro del settore.

Per la verità, la legge Finanziaria del 2005 (l. 30 dicembre 2004, n. 311) è intervenuta sulla materia, con uno specifico comma del maxiarticolo 1, modificando la disciplina riguardante l’acquisto del tartufo fresco e la relativa commercializzazione ed eliminando l’obbligo di indicare nella fattura il luogo di provenienza e l’acquirente. Ma da molti, tale disposizione, non consentendo più la tracciabilità del prodotto, è ritenuta lesiva del diritto per i consumatori di conoscere la provenienza del prodotto e inoltre non conferisce valore aggiunto al prodotto. è importante evidenziare, a questo proposito, che il mercato del tartufo in Italia è sottoposto alla concorrenza dei prodotti di importazione dai Paesi comunitari ed extraeuropei (come la Cina, il Marocco, la Romania, l’ex-Jugoslavia, ecc) e di conseguenza, se non dovessero essere presi urgenti interventi legislativi al riguardo, potremmo tranquillamente trovare sulle nostre tavole tartufi cinesi o del nord Africa, commercializzati come tartufi italiani.

Necessita quindi un urgente intervento legislativo, anche al fine di estendere la base imponibile riducendo l’elusione e l’evasione fiscale, molto spesso denunciate nel settore. Una norma, quindi, che consenta di tutelare la nostra produzione, di promuovere un’integrazione sempre più forte tra prodotto e territorio, di garantire il consumatore, di far emergere il sommerso del settore e di valorizzare una figura emblematica nella filiera del tartufo, rappresentata dal “tartufaio”, che la normativa vigente, di fatto, non considera a sufficienza.

Nella sezione del sito dell’ Assessorato all’agricoltura della Regione Campania, nella sezione Tartufi e Tartuficoltura,  si riportano anche: la norma regionale di recepimento in Campania della 752/85 (la LR n. 13/2006), successivamente modificata e aggiornata dalla LR n. 9 del 27 giugno 2011 e con il Regolamento regionale di attuazione delle stesse.

Entrambi i quali, all’emergere di nuove criticità e modelli di sviluppo e gestione, anch’essi  necessiterebbero di un aggiornamento legislativo in alcune disposizioni chiave, soprattutto al fine di valorizzare una risorsa che è divenuta rilevante per molti territori delle aree interne della regione.

In ambito ecologista, supportiamo iniziative volte a contrastare od attenuare gli effetti negativi dei cambiamenti climatici e ambientali (disboscamenti inconsulti, incendi dolosi, inquinamento ambientale,…), con interventi sulle criticità territoriali, talvolta emergenziali.
Con obbiettivi programmatici, condivisi in ambito istituzionale e sociale, tentiamo di preservare ed implementare le esigue risorse residue, a difesa dell’ambiente e delle pratiche tradizionali locali.